Milad, ancora fanciulla, è promessa sposa a un uomo trent’anni più grande: dopo il matrimonio e la nascita della prima figlia decide di fuggire da un marito prepotente e violento. Abeer è in carcere per aver ucciso chi stava per abusare di una bambina, ma sta meditando la fuga. Iscah corona il suo sogno di sposarsi con il sovrano del Paese, ma ben presto è abbandonata dal consorte che in realtà non la ama. Quèta, invece, è una ragazza di oggi, alle prese con le ingiustizie e le discriminazioni sociali. Le protagoniste, vittime di soprusi e inganni, riusciranno a raggiungere il villaggio delle donne, un posto riservato alla volontà di cambiamento, di risalita, di riconquista delle piccole cose e dei sogni considerati irraggiungibili.
Un romanzo brevissimo, sole 50 pagine, da leggere in un sussurro reverenziale.
La storia di quattro donne, quattro anime che non conoscono diritti ma solo doveri.
Una sposa bambina, una schiava del sesso, una regina ripudiata e una donna che vive nella civiltà occidentale ma viene sfruttata per la sua provenienza. Tutte potranno raggiungere il villaggio delle donne, il luogo che non ha coordinate e dove inizia il cambiamento.
Non è un romanzo comune, non viene rispettato lo stile della scrittura moderna, ma quello più prezioso e intimo della prosa e della poesia. Mi sono sentita riportare sui banchi di scuola a fare parafrasi, oh quanto le amavo!
Non è un libro per tutti, va compreso, interiorizzato, meditato. La libertà che accomuna noi donne occidentali viene calpestata, strappata e vomitata nei racconti di queste anime.
Ci si indigna a leggere quelle parole, quei fatti, gli abusi e soprusi subiti da donne come noi, ma nate in una parte del mondo che non le rispetta.
Quando incontrerò per strada gli occhi di brace di una donna con vesti che raccontano di un paese lontano, li guarderò con un animo diverso: rispetto e amore per una sorella che ha lottato per la sua dignità.
Per chi vuole comprendere e non solo giudicare.
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