Intervista a Stella Bright

 

 

 

 

 

 

 

 

intervista

 

–      A CHE ETA’ TI SEI APPASSIONATO ALLA LETTURA?

Da bambina più o meno quando sono stata in grado di leggere correntemente. Mio padre mi ha trasmesso questa passione e allora mi sono buttata sui romanzi di avventura. Ho letto tutti i libri di Giulio Verne, quelli di Salgari, allora la Mondadori pubblicava dei gialli per ragazzi e me li mangiavo, letteralmente. Crescendo sono passata alla fantascienza pura e tutti i grandi del genere sono stati miei, che meraviglia! Dopo sono passata al fantasy puro, quello di Tolkien, Brooks ecc. solo più avanti ho cominciato a leggere romanzi e narrativa, a quella rosa sono passata solo recentemente.

–      QUANDO HAI COMINCIATO A SCRIVERE?

Molto tardi, solo qualche anno fa.

–      COME E’ NATA LA DECISIONE DI INIZIARE A SCRIVERE?

E’ scattato qualcosa che mi ha detto che potevo mettere in pratica il sogno di una vita. Sinceramente ho cominciato a scopo terapeutico, sì, esattamente, per stare meglio, poiché non era un buon momento; ho usato la scrittura come se fosse una medicina e ha funzionato. Inizialmente l’ho fatto solo per me, poi mi sono detta: perché non provare a pubblicare?

–      COME NASCONO LE STORIE DI CUI PARLI? A COSA TI ISPIRI?

I miei scritti sono ispirati da uno sport che adoro: il Rugby. Ho pensato che ambientare una storia rosa in quel mondo sportivo così fantastico sarebbe stata la ciliegina sulla torta. Quando in Italia hanno pubblicato i libri della Phillips con i footballer americani ho fatto i salti di gioia perché mi piace tanto anche il football; allora avevo già scritto il primo libro della Serie Cardiffs Rugby e cercavo qualcuno che lo pubblicasse, cosa che poi è avvenuta.

–      MOLTI AUTORI SOSTENGONO CHE MENTRE IL RACCONTO PRENDE FORMA SONO I PERSONAGGI STESSI CHE TI PARLANO E TI INDICANO LA STRADA DA SEGUIRE… SENTI ANCHE TU LE VOCI NELLA TESTA?

No, diciamo piuttosto che io mi immedesimo in uno dei protagonisti e a quel punto vado avanti come se fossi io dentro la storia.

–      COME HAI CAPITO CHE IL TUO GENERE LETTERARIO ERA QUESTO?

A me piacciono le storie rosa che siano anche molto divertenti, dove ci sia da ridere, perché ridere è il sale della vita. Il rosa è un genere adatto e si confà perfettamente alle storie che mi vengono in mente. Inoltre ritengo che il Rugby oltre ad essere uno sport appassionante sia anche molto divertente, a tratti esilarante… quindi uno più uno….

–      QUANDO LEGGI UN LIBRO, NEL DARE IL TUO GIUDIZIO TI PONI COME SEMPLICE LETTORE O COME SCRITTORE?

Quando leggo un libro mi pongo come lettore perché non ritengo di essere all’altezza di coloro che amo leggere; loro sono Scrittori con la S maiuscola io sono solo una che ha avuto la fortuna di realizzare un sogno.

–      COSA PENSI A RIGUARDO DELL’ANNOSO DILEMMA C.E. VS SELF?

Sinceramente io non lo vedo come un dilemma. Personalmente sia per mancanza di tempo, voglia e capacità tecniche non sono in grado di pubblicare un self; ho avuto la fortuna di trovare una Casa Editrice, la Triskell, molto valida e corretta con la quale mi trovo benissimo quindi penso di proseguire su questa linea altrimenti sarei spacciata J Di una cosa sono certa: 10 o 15 anni fa saremmo state tutte tagliate fuori, il rosa era un genere da casalinghe arrapate e il self era fantascienza quindi godiamoci tutti quanti il momento e andiamo avanti ognuno come preferisce.

–      COME VEDI IL TUO FUTURO DI SCRITTORE? RIMARRAI FEDELE AL TUO GENERE O HAI VOGLIA DI SPERIMENTARE CON QUALCOSA DI NUOVO?

Il mio sogno più grande è scrivere di fantascienza, ma ci vogliono delle nozioni non da poco; penso che non mi cimenterò mai in quest’impresa in questa vita, forse nella prossima J per ora rimango nel genere

–      TRA I LIBRI CHE HAI SCRITTO, QUAL E’ QUELLO CHE HAI AMATO DI PIU’ E PERCHE’? CE NE PARLI?

Il primo della Serie Cardiffs Rugby, “Perché proprio a me” che è anche il primo che ho buttato nella mischia, cioè ho deciso di pubblicare. In verità è una novella, un romanzo breve e mi sono divertita tantissimo a scriverlo, ridevo da sola! In questa breve storia d’amore un po’ movimentata, con una protagonista femminile fuori dalle righe (è una taglia 46-48 ed è una vera peste) ho cercato di mettere un concentrato di ciò che è il Rugby, non tanto dal punto di vista tecnico, quanto la passione che mi scatena. Colgo l’occasione per precisare un aspetto che molti potrebbero trovare un po’ esagerato: l’astio verso un rugbyman sudafricano, o meglio per un afrikaner (bianco) che aleggia tutt’oggi nel mondo della palla ovale, e che è poi l’odio – che diventa amore – che la mia protagonista prova verso quel pezzo di manzo proveniente dalla Repubblica del Sudafrica ingaggiato nella squadra dove lei lavora. Questo “odio” ha radici nell’Apartheid. Nel mondo del rugby prima dell’avvento di Nelson Mandela, la nazionale sudafricana, gli Springboks, erano il simbolo dell’odio razziale fra i neri e i bianchi afrikaner, inutile dire che la nazionale era detestata dalla popolazione di colore. In seguito alla caduta del regime dell’Apartheid la nazionale di rugby sudafricana venne riammessa alle competizioni internazionali dopo circa un decennio. Sull’argomento è stato girato anche un bellissimo film “Invictus”.

Il mondo è cambiato, ma certi marchi sono difficili da cancellare e ancora adesso aleggiano sebbene questo astio per gli afrikaner sia molto flebile. Io ho voluto enfatizzare la cosa per dare una nota comica alle vicende dei due protagonisti, ma non dico altro, se volete leggete e fatevi delle risate.

–      CHI SONO I TUOI AUTORI PREFERITI? QUALI QUELLI CHE TI HANNO ISPIRATO MAGGIORMENTE?

Sono tanti. La “Santissima” Ward, Terry Brooks, Asimov, Wilbur Smith, Clifford Simack, Stephen King, la Allende, Charles Martin, Sparks, Nora Roberts, Lisa Kleypass, Linda Castillo, Tess Gerritsen …. Tutti mi danno qualcosa di diverso e mi ispirano in base al loro genere.

–      UN CONSIGLIO SPASSIONATO AD UN AUTORE EMERGENTE?

Leggere, leggere, leggere. Di tutto. I grandi, quelli che hanno lasciato e lasciano il segno.

–      CI RACCONTI QUALCOSA DI CURIOSO SU TE STESSO?

Sono un maschiaccio, ebbene sì. Da ragazzina, durante l’ora di ricreazione a scuola proponevo di giocare a rugby con il cancellino. Ci siamo beccati parecchie note di classe e arrivavo a casa con il grembiule nero con grossi pois bianchi stampati sopra. Più avanti negli anni, con i miei amici, la domenica si andava spesso in campagna: le moto, una chitarra, una palla, e io non volevo giocare a pallavolo, troppo noioso, volevo giocare a rugby. Nessuno conosceva le regole così più che un incontro di rugby veniva fuori un incontro di wrestling di gruppo!  Ricordo di aver perso una scarpa – che venne usata come pallone – e di aver strappato un maglione, ma le guance erano rosse come un pomodoro per essermi divertita come una forsennata. Quante risate! Gli anni passano e ora mi godo il rugby seduta sul divano (quel poco che trasmettono perché è considerato uno sport minore); senza perdere scarpe o rompere vestiti, godendomi il gioco… e godendomi la vista di quei marcantoni. Lo ammetto: ogni tanto mi faccio qualche risata.

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