Liberamente tratto da un’antica leggenda medievale della cittadina di Ninfa. La giovane figlia del feudatario e il nobile Martino s’innamorano perdutamente ma solo chi aiuterà il duca Pietro a sconfiggere la palude che ammorba il suo regno potrà prenderla in sposa. La felicità di Ninfa non è importante come il tentativo di salvare l’onore della parola data. Tra intrighi, violenze e passioni due giovani lottano per il loro amore.
ESTRATTO
Dall’alto della torre del suo castello Moro soleva invocare i demoni. Erano il suo strumento di potere e a loro chiedeva aiuto per i propri interessi.
Lui sapeva di agire contro la Chiesa e di prodigarsi in una fede opposta a quella cristiana, ma il suo animo agognava il Maligno e tale indole gli era stata trasmessa dai suoi avi. Fu il padre a iniziarlo alle pratiche della magia nera e fu semplice per Moro cedere al fascino del Demonio in quanto era stato cresciuto senza amore, umiliato e percosso per ogni futile motivo. Durante l’infanzia non aveva conosciuto né carezze né dolcezza, neanche dalla madre che era succube del marito violento.
Moro non si privava dei più orrendi piaceri, tra questi uno in particolare lo eccitava portandolo al godimento con orrende e indescrivibili pratiche sessuali: sottraeva le fanciulle del suo feudo, appena donne, dalle braccia dei genitori e ne faceva sue amanti, senza che i partenti di quelle poverette potessero intervenire. Alle malcapitate era strappata la purezza nel modo più sadico che potesse immaginare per soddisfare la sua lussuria.
Dopo aver indossato i paramenti magici, aiutato dalla fedele amante Edea e aver afferrato il libro di re Salomone, Moro entrò nel cerchio magico disegnato a terra e al cui interno era raffigurato un pentacolo, per invocare i demoni. Tutt’intorno numerose candele disegnavano curiose ombre sui muri di pietra.
***
Edea provò un piacere sadico nell’udire il suo signore pronunciare con tanta foga e passione la formula magica, suggerita dal grimorio, contro Martino, allo scopo di procurargli l’infelicità amorosa per il futuro.
Lei, donna lussuriosa dai capelli del colore del fuoco, dagli occhi neri e dalle labbra carnose, bramava di concedersi a Moro, nell’usuale modo animalesco, non appena lui avesse terminato di lanciare la sua maledizione.
Edea era profondamente devota al suo signore che l’aveva raccolta dalla strada quando era ancora una ragazzina, per farne una fedele seguace oltre che un’amante. Lei aveva accettato dapprima in modo passivo le attenzioni sessuali di Moro, nell’intento di ricambiare l’ospitalità ricevuta, il cibo assicurato e un buon letto su cui dormire, poi sempre più attivamente. I genitori le erano stati portati via da una tremenda epidemia che aveva decimato la popolazione. Poco si curava del fatto che fosse solo un giocattolo tra le mani del perfido uomo, il quale ora fremeva all’idea di sposare la bella e virtuosa Ninfa per accrescere il suo potere e le sue ricchezze.
Moro l’afferrò per il collo, con gli occhi che gli bruciavano d’ardore e a Edea, per un istante, parve lo sguardo di qualche demonio che, nel rito di poco prima, si era impossessato del suo corpo. Tenendola in quel modo che quasi non le permetteva di respirare, le appoggiò il viso contro la parete della torre e lei sentì la fredda e dura pietra sulla pelle.
Con il respiro irregolare a causa dell’eccitazione che aumentava, Moro le sollevò la lunga veste, la liberò dall’interula con gesti nervosi e cominciò a frustarle i glutei bianchi e sodi. Le iniziali urla di dolore di Edea pian piano divennero mugolii di piacere e solo quando l’uomo notò il colore rosso fuoco e le prime piaghe sulle natiche dell’amante, si decise a smettere di fustigarla. Posato lo strumento del suo gioco vizioso, le si pose dietro, la denudò completamente e, strizzandole i capezzoli, le passò la lingua sul lobo dell’orecchio e poi sul collo. Infine le ordinò di divaricare le gambe e la prese così, in piedi, contro il muro.
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