“Non riusciva a vedere il cielo, forse perchè non c’era.
Aveva vissuto anni nei sotterranei del crimine ma, persino in quegli inferi, il firmamento aveva le sue stelle.
Lì, nella Città Strisciante, non c’erano nemmeno quelle.”
Il richiamo di Kain verso l’Oltremare è troppo forte per essere arginato. Tutto sembra spingerlo in quella direzione e non basta la promessa di una vita perfetta a impedirgli di inseguire il suo destino.
Iorn non lo lascerà solo in questo viaggio, ma non sarà facile accettare le scelte dell’uomo che ama.
Ci ritroviamo dopo due anni rispetto a dove eravamo rimasti alla fine di “Apocalisse”.
Kain è andato via dalla corte, senza dire niente a nessuno, soprattutto a Iorn… Ma sappiamo benissimo che l’unico che può trovarlo, e anche in pochissimo tempo, è proprio quest’ultimo. La fuga, infatti, dura poco.
I due, insieme, andranno in cerca di una nuova avventura, una a cui Kain non riesce a rinunciare, pur non capendo perché.
Oltrepasseranno l’Opalisco e da lì non riusciranno a tornare indietro tanto facilmente. A partire dalla Manta olofaga che brucia tutto quello che incontra, alle Dermomacchine che staccano parti del corpo dei prigionieri della Città Strisciante, ogni cosa e persona tenterà di trattenerli imprigionati in una città che, seppur sempre in movimento, è più statica che mai. Gli abitanti di questa città sono persone rapite da una conoscenza esterna, annullate dalla negatività e dalla paura.
Non sapremo davvero di chi fidarci, avremo dubbi anche riguardo ai nostri eroi… ma quello che scopriremo andrà al di là di ciò che viene narrato.
Kain ha fatto di tutto per spingere Iorn al limite, lo ha allontanato, perché non si è mai sentito alla sua altezza, tanto lo vede perfetto in tutto. Il sanguenero si ritrova in una spirale autodistruttiva e la città Strisciante ne è una perfetta rappresentazione. Kain “era stato rifiutato da chiunque in tutta la sua vita, fino a rifiutarsi nello stesso modo”. La città strisciante è la metafora perfetta della negatività, del vuoto che ci portiamo dentro e delle paure che non riusciamo a sconfiggere. È l’àncora a cui ci aggrappiamo per mentire a noi stessi, una scusa per non lottare e uscire da quel baratro mentale che abbiamo involontariamente creato, che sia per autodifesa o per schiacciamento da parte di qualcuno. Per potersi finalmente guardare, vedendosi per chi siamo davvero, a volte abbiamo bisogno di un aiuto esterno. In questo caso, Kain e Iorn sono stati l’aiuto esterno per gli abitanti della città, alcuni si sono lasciati salvare, altri si sono autosabotati o si sono lasciati schiacciare da ciò che tanto li spaventava.
Per quanto riguarda Kain, non fosse stato per Iorn e Fortuna, forse non sarebbe sopravvissuto. Ma, a un certo punto, anche loro due si sono arresi. Kain è caduto in depressione, una così forte da avvolgerlo completamente. Ora è solo. Cosa gli accadrà? Chi lo salverà?
Iorn ha piena fiducia in Kain, lo ama e gli ha donato tutto di se stesso, ma sappiamo che non sempre basta. Ho sofferto tantissimo perché non sapevo come sarebbe andata a finire… fino ad un certo punto ho avuto speranza, poi si è rotto qualcosa, oltre al cuore di Iorn. È stata dura continuare a leggere! Mi sono innamorata di questi due già dal primo romanzo delle Cronache del Continente e, vederli soffrire, fa star male anche me.
La cosa più bella di questo libro è stata la morale e la riflessione intorno a tutto il romanzo. Ragionarci su più fronti, ancora prima di leggere ciò che l’autrice ha da dire, mi è piaciuto tantissimo.
Bel libro, seppur diverso e più lento rispetto a ciò a cui mi ha abituata la Petroni. Ora attendo i prossimi.
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