Recensione “Il mattino dopo” di Giorgio Pulvirenti e Marco Negrone

1957. Justin è un giovane adolescente che vive a Montauban, un piccolo paesino immerso tra le campagne del sud della Francia, assieme ai suoi genitori adottivi. La guerra è finita da diversi anni ma ha lasciato ferite profonde sul corpo e nella mente di Benjamin, il padre adottivo del ragazzo, essendo un sopravvissuto del campo di sterminio di Auschwitz. Justin è deciso a conoscere la verità sul suo vero padre e la sua vera madre. Chiede quindi a Benjamin di raccontargli la storia delle proprie origini, che coincide con gli orrori che il padre ha vissuto all’interno del campo di sterminio. Quella che il ragazzo avrà modo di ascoltare sarà una storia forte, cruda, una vicenda che metterà in risalto la tenacia e la caparbietà di un gruppo di ebrei nel trovare un modo per sopravvivere a una delle pagine più tristi e cruente della storia dell’umanità. Quando tutto sembrerà spacciato, un violino cambierà le loro sorti.

 

“La visione costante dei fili elettrici, la cui densa rete annullava ogni nostra speranza di libertà, il quadro giornaliero dei camerati morti, l’ansia sulla sorte delle persone più vicine, tutto questo influiva negativamente sulla nostra psiche. Spesso, alcuni di noi compivano azioni che più volte io stesso avevo pensato di fare e di cui non mi vergogno tutt’ora. Se le forze fisiche lo permettevano, data la condizione disperata, si faceva l’ultimo sforzo e ci si lanciava contro i fili di metallo.”

Non sono sicura che siano sufficienti poche righe della mia recensione per far capire il libro, se non per sottolineare l’importanza della testimonianza che un testo come questo porta avanti.

Un resoconto della vita di alcuni ebrei francesi, che emoziona dalla prima pagina. Il libro è la storia di un ragazzo, Justin, che vuole sapere di più sui suoi genitori biologici. Così Benjamin, il padre adottivo del ragazzo, decide di raccontargli di suo padre Alexander; una narrazione fatta di coraggio, di determinazione, di amore e anche di molta sofferenza. Un racconto che non ci risparmia dettagli sulle brutalità e sulle molte atrocità commesse ad Auschwitz, ma che ci fa capire che, anche in un posto come quello, si poteva avere fortuna, si poteva lottare per sopravvivere.

Gli autori descrivono con precisione la vita nei campi, facendoci entrare con esattezza nella dimensione del campo di sterminio. Purtroppo questa cronaca fa perdere in alcuni punti la profondità e la complessità emotiva di cui una storia così drammatica avrebbe bisogno.

Verso il finale del libro, invece, si riscopre empatia con i personaggi, che rendono il racconto ancora più commovente.

“Osservando quell’uomo suonare il violino in quel modo, quasi come se stesse accarezzando delicatamente il viso di una donna, le fece dimenticare per un attimo le mancanze del marito, freddo e a tratti anaffettivo. Il tutto la colpì a tal punto che, quando il quartetto di musicisti ebbe finito, specialmente quando Alexandre ebbe suonato l’ultima nota, fu la prima ad applaudire con un sorriso che da tempo non riempiva il suo splendido viso angelico.”

 

In conclusione Il mattino dopo è un resoconto straziante, emotivo e onesto della vita dei campi di sterminio.

 

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