Recensione “Ifalik” di Francesco Grandis

È notte fonda quando il padre viene a prenderlo. Perché tutta quella fretta? Perché la pistola nella borsa? Non può opporsi, è solo un bambino e viene condotto fin dentro una montagna e spinto al di là di una porta di legno che si chiude e diventa pietra. L’indomani l’inferno in cui sembra essere sceso si è trasformato in un atollo in mezzo all’oceano sconfinato. Inizia così la sua lotta per la vita. La lotta di un bambino abbandonato senza spiegazioni in un mondo impossibile, in compagnia soltanto del suo Pulcino, ad affrontare l’acqua e il fuoco, la fame e il terrore che un’altra tempesta distrugga tutto quello che gli è più caro. Ma qual è il vero pericolo? Perché è stato portato lì? E chi è davvero il bambino che visse sull’isola sotto la montagna?

 

Quando ho iniziato questo romanzo ho pensato di trovarmi in uno di quei telefilm della mia infanzia “Ai confini della realtà”, ma quando poi ho capito la verità, mi sono resa conto che la realtà può essere addirittura peggio degli incubi…

 

Un bambino viene rinchiuso dal padre in una grotta nel cuore della notte, con pochi effetti personali e il suo migliore amico, un pulcino di peluche, stretto fra le braccia. Quella grotta porterà ad un atollo disabitato, una specie di bunker all’aria aperta, dove sono state stipati provviste e generi di prima necessità in caso di emergenza.

La solitudine di un fanciullo che deve trovare la forza di crescere da solo e contrastare le avversità della natura, con la sola compagnia di un pupazzo e un’ascia parlanti e tanti libri che gli insegnino a vivere. 

La forza di questo bambino è stata disarmante, è riuscito a comprendere in autonomia come utilizzare il materiale messo a sua disposizione per poter sfruttare le risorse dell’isola, è riuscito a non abbattersi davanti alla devastazione delle tempeste e trovare la forza di andare avanti.

Una sorta di piccolo protagonista di “Cast away” con Pulcino al posto di Wilson; la mente umana che riesce ad adattarsi ad ogni situazione, l’istinto di sopravvivenza che prevale sullo sconforto, la sorprendente capacità di gioire della sua isola che ormai conosceva palmo a palmo, il desiderio poi di espandere i suoi confini, di voler tagliare il cordone ombelicale col suo rifugio sicuro.

È stata una lettura intensa, emozionante, avventurosa, culminata in un colpo di scena inatteso, ma anche tragico e comprensibile, col senno di poi.

Una narrazione in prima persona dalla voce di questo bimbo che, sin da subito, ha dimostrato una maturità superiore alla sua presunta età.

L’autore è stato bravissimo a toccare le corde dell’empatia, mettendo il lettore nella condizione di sentirsi al fianco del piccolo naufrago della vita. Toccante e bellissimo.

 

Anna

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