Scozia, 1983. Anna si è trasferita nel Regno Unito dall’amico di famiglia William, col desiderio di voltare pagina. Tuttavia, i traumi della sua infanzia la perseguitano: la paura dell’acqua e i morti del passato popolano i suoi incubi. Tutto cambia quando al pub di William, dove lei lavora, incontra Erik: un misterioso ragazzo originario dalle isole Ebridi. Il loro incontro la condurrà alla scoperta del lato nascosto e magico della Scozia, ma anche della sua terra natia.
Tra congreghe di cacciatori, cavalli antropofagi e donne serpenti Anna dovrà scoprire cos’è realmente successo a sua madre quella fatidica notte del 9 ottobre 1963, quando la sua vita è stata stravolta per sempre.
Bel fantasy! Non sono una grande amante del mare, quindi mi capita di rado di leggere libri con quest’ambientazione ma qui il mare non è protagonista come sembra dalla cover, anche se essenziale per la protagonista. Mi aspettavo qualcosa di completamente diverso e ne sono rimasta piacevolmente sorpresa.
Anna è una ragazza di quasi trent’anni che si porta dietro un enorme trauma a cui se ne sono aggiunti altri… Durante la storia la protagonista cresce, imparando sempre di più di se stessa, anche grazie a Erik, un ragazzo che, come Anna, nasconde una grossa verità. Ho molto apprezzato la presa di coscienza di una se stessa inedita, la sua sempre maggior consapevolezza di sé. E mi è piaciuto molto il fatto che si sia parlato della tragedia del Vajont, soprattutto per come è stata raccontata.
Mi è piaciuto il fatto che si sia parlato di una figura, appartenente al folklore, che appare sempre e solo malvagia ma che, in questo romanzo, prende vita in modo diverso, con uno spunto per capire che il male non è sempre e solo dove ci si aspetta che sia. In questo caso viene ribaltata la classica visione della lotta tra il bene e il male dove chi pensa di salvare non salva ma uccide, senza riflettere.
Ho apprezzato il rapporto tra Anna e William, un secondo padre per lei, una nuova figlia per lui. I due ci sono l’uno per l’altra, inaspettatamente anche più di quanto avrebbero mai creduto. Ciò che non mi ha fatto impazzire è il fatto di chiamare “orso” William anche come appellativo per fare riferimento a lui nel testo, un po’ come si fa con “il moro”, “Il biondo”… Un’altra cosa che non capirò mai nei libri e come sia possibile che un personaggio faccia sempre l’occhiolino a qualcuno, dopo aver detto qualcosa – o la lunguaccia, anche se non è questo il caso.
È stato interessante leggere del rapporto tra Anna ed Erik, finalmente un fantasy dove i protagonisti non ci danno sotto dalla mattina alla sera, anche se mi ha fatto un po’ strano il loro momento di intimità, vista l’inesperienza della protagonista.
Amo la Scozia e adoro averla come ambientazione nei libri, e questo libro mi ha fatto venire voglia di informarmi di più riguardo al folklore locale. È stato interessante il mix di folklore scozzese e veneto, una cosa inedita.
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