Tra l’Ohio e la Virginia, l’amicizia di Lisbeth e Mattie negli anni della guerra civile, al di là del colore della loro pelle
Lisbeth Johnson è “bianca”. È nata da una famiglia agiata del Sud, prima dello scoppio della guerra civile americana. Ha tradito la sua famiglia sposando un abolizionista e recandosi a vivere a Oberlin, in Ohio. La sua adorata balia, Mattie Freedman, è “negra”. È madre di Jordan, insegnante in una scuola della stessa città, dove la segregazione razziale è solo un lontano ricordo. La ragazza è un’aspirante suffragetta. Tra Lisbeth e Mattie c’è un rapporto profondo, superiore all’amicizia.
Tre anni dopo la fine della guerra, nel 1868, Lisbeth deve tornare nella piantagione della sua famiglia in Virginia, per dare l’ultimo addio al padre morente. Anche Jordan e Mattie sono partite per Fair Oaks: vogliono salvare una loro parente, che vive ancora in condizioni di sfruttamento.
Lisbeth affronta quei giorni come una riconciliazione. Jordan e Mattie li percepiscono come un momento di liberazione. Un’imprevista ingiustizia razziale riavvicinerà i Johnson e i Freedman. Le donne troveranno il coraggio di liberare le proprie famiglie dal pesante passato?
Storia di umanità, amicizia e libertà, quella libertà che stiamo dando troppo per scontata.
Lisbeth e Jordan sono due donne che sono state legate nel loro passato e si ritrovano in età adulta coinvolte in una situazione drammatica.
Lisbeth Johnson è una donna bianca, figlia di proprietari terrieri della Virginia; ha rifiutato quella vita fuggendo da un pretendente/schiavista che l’avrebbe schiacciata e umiliata, per sposare un abolizionista e trasferirsi in Ohio dove poter vivere la loro vita con degli ideali di libertà innovativi e impensabili per l’inizio dell’800.
Jordan Freedman è figlia di Mattie, la tata di colore che ha cresciuto Lisbeth; Mattie era schiava della famiglia Johnson, che un giorno ha preso figli, marito e bagagli ed è scappata verso la libertà, lasciandosi indietro la cugina Sarah.
Lisbeth è una donna adulta ora, con dei figli, e Jordan è diventata un’insegnante ( una donna nera laureata!), l’insegnante preferita proprio della figlia di Lisbeth.
Inaspettatamente si ritrovano entrambe nella terra d’origine: Lisbeth per assistere il padre morente e Mattie con Jordan e il fratello Samuel, per cercare di liberare la cugina Sarah da quella schiavitù che non dovrebbe più esistere sulla carta, non dopo quella sanguinosa guerra che ha diviso il paese, ma che nella realtà è ancora ben presente.
Lisbeth e i figli ripiomberanno nell’ambiente opprimente della famiglia di origine e Jordan con i suoi affronteranno quella discriminazione e quel terrore che avevano dimenticato in Ohio.
La forza di Mattie è la sua fede, che viene simboleggiata dai granelli di senape che distribuisce nelle mani di chi ama, quella forza che le ha permesso di fuggire con una neonata legata sulla schiena, nel cuore della notte, quella stessa forza che le consente di fingere nuovamente sottomissione agli occhi degli schiavisti che ancora camminano in Virginia e agitano bastoni per rivendicare quel potere che gli sta sfuggendo dalle mani.
Jordan ha solo sentito parlare di quella vita dai racconti dei genitori, non riesce a rendersi conto delle condizioni in cui realmente vivevano, dei soprusi; per lei che vuole battersi per il suffragio a favore delle donne, è uno schiaffo in pieno viso, è un salto temporale indietro nel tempo.
Lisbeth legge invece negli occhi dei figli quanto la situazione appaia “sbagliata”, dall’utilizzo di “quella brutta parola che non si dice “ (Negro), alle dinamiche interne alla famiglia, dove le donne e i bambini non hanno parola: non può che essere felice della decisione presa anni prima e poter dare ai suoi figli un futuro con una mentalità più aperta.
Dal canto mio ho apprezzato poter entrare in un pezzo di storia americana, in un periodo ancora in bilico dove ogni stato agiva per conto suo, dove gli Stati Uniti non erano, in fin dei conti, così uniti. Mi si è gelato il sangue sentir ancora parlare di una inferiorità intellettiva, di aver tenuto la popolazione nera sotto la minaccia di una punizione divina perchè “Gesù non avrebbe voluto che un negro imparasse a leggere e a scrivere”.
Fa sempre bene ritornare indietro e ricordare come si viveva un tempo, succubi di un potere superiore, per apprezzare la libertà di cui godiamo oggi, anche se le discriminazioni purtroppo, esistono ancora.
Un altro mondo, un’altra vita che porterà le donne protagoniste di questa storia a fare fonte comune per rivendicare quelle libertà, che siano di genere o di colore, che permeano questo romanzo dandogli uno spessore tangibile e partecipato.
Lascia un commento