Recensione di “TENEBRE” di Maria Patavia

 

 

 

 

 

 

Una piccola città di provincia è invasa da ombre che fagocitano interi quartieri senza che gli abitanti, chiusi nel loro mondo egoistico, se ne rendano conto. Ogni volta un misterioso mago è presente nei luoghi in cui avvengono strani accadimenti. Di chi si tratta?

Il lato oscuro nascosto dietro i volti ipocriti si srotola mischiando le paure ai sogni che diventano incubi e una realtà in continua trasformazione.

Mi spiace sempre stroncare un libro, ma stavolta non posso fare diversamente. “Tenebre” l’ho trovato proprio brutto. L’idea dell’autrice sarebbe quella di portarci in una realtà parallela, una città come tante altre dove, però, qualcosa di oscuro e terrificante, un’ombra viscida e ammuffita, divora gli esseri umani e miete vittime senza soluzione di continuità. A osservare la distruzione della città, un mago misterioso che ogni tanto fa la sua comparsa, un po’ come l’angelo della morte.
La narrazione è corale: non abbiamo un solo protagonista ma tanti personaggi, ciascuno col suo racconto. Alcune storie si “sfiorano” tra loro, ma non c’è interazione.
Cosa mi porta a stroncare questo libro? Anzitutto la mancanza di originalità. Quasi tutti gli elementi sono cose già viste. L’ombra che inghiotte la gente mi ricorda il famoso “blob” nero del film, il mago è una copia spudorata di Woland, il meraviglioso e imponente personaggio del libro di Bulgakov “Il Maestro e Margherita”.
Sinceramente, poi, non sono riuscita a capire il filo logico del libro. I capitoli sono come dei piccoli racconti, ciascuno con un personaggio diverso per protagonista, ma sembrano incompleti. Si arriva a fine capitolo e ci si aspetta che nel successivo la storia venga sviluppata e spiegata e invece, si cambia scena e personaggio. A quel punto mi aspettavo che in qualche modo, almeno alla fine, tutte le storie confluissero in una sorta di “chiusura del cerchio” ma, a parte una breve conclusione che lascia intuire qualcosa, non avviene nemmeno questo.
Il risultato è che, arrivati all’ultima riga, resta l’impressione di aver letto un’accozzaglia di storie poco approfondite, messe insieme in modo sconclusionato. Il famoso “mago”, che probabilmente nell’idea dell’autrice doveva essere il filo conduttore di tutto il libro, non si capisce che cosa faccia e che senso abbia. Ogni tanto salta fuori dal cilindro (tanto per restare in tema) ma non fa nulla: non agisce, non dice niente di particolare, non è caratterizzato e non ha un ruolo attivo e significativo ai fini della storia.
Non sono nemmeno riuscita a spaventarmi o a inorridire… e sì che la mia cultura in tema horror non è tanto vasta da poter dire che non mi stupisco di niente, anzi, posso affermare il contrario. Qualche scena vagamente splatter o un tentativo di creare suspense non sono sufficienti, però, per rendere efficace un racconto dell’orrore.

 

Non mi resta molto da dire se non che non è una lettura che consiglio.

 

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