Recensione “Il treno delle donne” di Fermina Cañaveras

 

 

Al funerale di sua nonna Sole, la storica e ricercatrice María incontra Isadora, un’anziana donna che sembra avere qualche misterioso legame con la defunta. Tempo dopo, tra gli effetti personali di Sole, María scopre una foto che ritrae proprio la giovane Isadora: sul suo petto nudo è tatuata la scritta “Feld-Hure”. Ovvero, “puttana del campo”. Rintracciata la donna, María la convince a raccontare la sua storia. Subito dopo la fine della guerra civile spagnola, Isadora, sua madre e sua zia furono rastrellate dalla Gestapo a Parigi e inviate al campo di concentramento nazista di Ravensbrück. Qui, la diciassettenne Isadora venne costretta a prostituirsi dai suoi carcerieri. Attraverso il racconto di Isadora, si dipana così il terribile dramma di altre migliaia di donne internate nei lager: costrette a lavorare fino allo stremo, torturate e trasformate in giocattoli sessuali per il piacere dei mostri nazisti. Una storia che testimonia però anche uno straordinario coraggio e un inestinguibile desiderio di vivere e sperare nonostante tutto.

Un romanzo composto dai resti di molte donne dimenticate troppo a lungo, come la stessa autrice ha voluto definire il libro.

“Alcune di loro sono riuscite a salvarsi e hanno vissuto con la sensazione di aver perso tre guerre: la guerra civile spagnola, la seconda guerra mondiale e la più dolorosa, ovvero quella della memoria.”

Ho fatto un viaggio doloroso, forse uno dei più dolorosi negli ultimi mesi, un viaggio dove essere donna è stato un errore, dove essere donna è stato sbagliato, dove essere donna è stato una condanna.

Dalla guerra civile spagnola Isadora sarà catapultata nella seconda guerra mondiale e l’iniziazione non sarà certo delle più rosee.

Diciamo che l’arresto che ha subito la protagonista insieme alla sua famiglia è stato atroce, giovane ragazza diciassettenne stuprata ripetutamente da nazisti, inviata nel campo di concentramento di Ravensbruck con la scritta tatuata sul petto Feld-Hure, un triangolo nero da cucire sulla camicia e un nuovo appartamento la baracca ventisei, la baracca del disonore, dello sfruttamento, della depravazione.

Un triangolo nero gravato dalla vergogna, dal silenzio e dalla calunnia.

Maria inizierà a scrivere questo percorso lungo e doloroso di Isadora, molte saranno le lacrime versate, grida soffocate, ricordi spiazzanti, crudeltà e orrore che scandiranno quelle giornate di racconti.

“Dunque è stata al campo femminile di Ravesbruck? – Proprio così. Sono stata all’inferno e ancora convivo con i miei demoni.”

Una lunga storia che ci porterà dove la viva finisce e solo l’orrore prenderà vita.

“Mi chiamo Isadora Ramirez Garcia. Figlia, nipote, sorella e cugina di repubblicani, sono fatta di pezzi della mia famiglia… La vigilia di Natale del 1941, il dio di mia madre non si ricordò di noi.”

 

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