Recensione “La canzone di Achille” di Madeline Miller

 

Dimenticate Troia, gli scenari di guerra, i duelli, il sangue, la morte. Dimenticate la violenza e le stragi, la crudeltà e l’orrore. E seguite invece il cammino di due giovani, prima amici, poi amanti e infine anche compagni d’armi – due giovani splendidi per gioventù e bellezza, destinati a concludere la loro vita sulla pianura troiana e a rimanere uniti per sempre con le ceneri mischiate in una sola, preziosissima urna. Madeline Miller, studiosa e docente di antichità classica, rievoca la storia d’amore e di morte di Achille e Patroclo, piegando il ritmo solenne dell’epica alla ricostruzione di una vicenda che ha lasciato scarse ma inconfondibili tracce: un legame tra uomini spogliato da ogni morbosità e restituito alla naturalezza con cui i greci antichi riconobbero e accettarono l’omosessualità. Patroclo muore al posto di Achille, per Achille, e Achille non vuole più vivere senza Patroclo. Sulle mura di Troia si profilano due altissime ombre che oscurano l’ormai usurata vicenda di Elena e Paride.

 

Una sorta di prequel sul mito di Achille: i suoi natali, la giovinezza, il voler sfuggire al suo destino di  aristos achaion, il guerriero più grande della sua generazione e, sì, anche l’amore per quell’esule che un giorno arrivò alla sua corte. Quell’esule era Patroclo Menezio e dalla sua voce il racconto prenderà vita

 

“Il suo regno era metà, anzi un quarto, anzi un ottavo di quello di mio padre, e io avevo ucciso un ragazzo ed ero stato esiliato eppure lui non sapeva niente di me”


Gli anni passati alla corte di Peleo prima e la formazione presso il centauro Chirone poi, la fuga sull’isola di Sciro in incognito, il difficile rapporto con Teti, la madre di Achille, il coinvolgimento nella guerra di Troia… la storia la conosciamo tutti, o almeno chi è appassionato alla materia come me.
Abbiamo visto Achille rappresentato in romanzi e film, sempre valoroso e invincibile ma qui avremo la possibilità di scoprire anche il suo lato più intimo e umano. Capiremo soprattutto il punto di vista di Patroclo che gli sarà sempre fedele, che amerà ogni sfumatura di questo bellissimo giovane arrivando a conoscerlo nel profondo.

“Lo riconoscerei anche solo dal tocco, dal profumo; lo riconoscerei anche se fossi cieco, dal modo in cui respira, da come i suoi piedi sferzano la terra. Lo riconoscerei anche nella morte, anche alla fine del mondo”

La metà del romanzo segna lo spartiacque fra il prima e il dopo: la giovinezza con la sua spensieratezza prima, la guerra e la consapevolezza di quello che Achille è, e per cosa è stato creato, poi.
Un ragazzo predestinato per la gloria, ma con una nefasta profezia che gli grava sulla testa.
Andare incontro al proprio destino senza potervisi sottrarre: lui sarà il più grande guerriero ma non tornerà vivo da Troia.
Patroclo lo affianca, principe esule che diventa l’ombra del grande eroe, amandolo e supportandolo, con la certezza nel cuore che il loro amore avrà vita breve. Il loro sentimento verrà mascherato da una nomina:

“Therapon fu il termine che usò. Un compagno d’armi legato a un principe da un giuramento di sangue e amore.”

Lo strazio lo possiamo percepire nettamente ogni volta che Patroclo penserà al futuro, per poi ricadere nel baratro della certezza che per loro non ci sarà, che Achille non potrà mai diventare vecchio e sottile come re Peleo.
Gli anni della guerra, visti dagli occhi di Patroclo, avranno una sfumatura diversa da quella alla quale siamo abituati: lui si terrà lontano, ove possibile, dal campo di battaglia, preferendo la compagnia di Briseide (se ancora non l’avete letto vi consiglio il romanzo di Eleonora Fasolino “La schiava ribelle” che parla proprio di questo rapporto fra i tre) o prestando servizio nell’ospedale da campo. 

Una guerra sporca, che ha avuto poco di eroico, il sangue, la morte, le razzie, ma che durante i lunghi anni in cui si è combattuta, ha saputo creare un’ unità fra quei soldati che erano partiti ognuno con un’identità differente, per sentirsi poi semplicemente greci. Gli anni hanno poi trasformato le schiave in mogli, ricreando una parvenza di grande famiglia all’interno di un accampamento di guerra.


Ho letto tutti i poemi epici ai tempi della scuola e ora non mi faccio sfuggire nessun retelling; ognuno di loro mi apre la porta su dettagli accennati dandomi una visione, seppur con licenze poetiche, più ampia di quelli che sono stati dei capolavori della storia letteraria.

Leggo sempre queste vicende con la vana speranza che qualcosa possa cambiare, che il lieto fine trovi il modo di farsi largo fra sangue e morte, ma poi ecco ripresentarsi la tragedia con tutta la sua potenza che annichilisce, svuota e annienta.
Quante volte ho pianto per la morte di Ettore e per lo strazio di re Priamo? Quante volte piangerò per quella di Achille e Patroclo? Come questi due giovani che vanno incontro al loro infausto destino io continuerò a cercare e cercare, sperando che qualcuno prima o poi dia un finale diverso… in un universo parallelo potrebbe anche essere possibile…

 

 

Anna

Valeria

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