Auschwitz, 1944. Arina e Nora hanno appena quindici anni quando scendono dal carro bestiame che le ha strappate alla loro vita. All’arrivo, un ufficiale delle ss si aggira tra le famiglie deportate: sta cercando coppie di gemelli identici, proprio come loro. Non appena le intercetta, le allontana dai genitori trascinandole con sé. Le sorelle non immaginano ancora l’inferno che le aspetta. Abituate a vivere in simbiosi, saranno costrette a separarsi e subire i terribili esperimenti del dottor Mengele, che tortura i prigionieri in nome di una folle idea di ricerca scientifica.
Dopo la liberazione, Arina approda negli Stati Uniti, Nora in Francia. Le gemelle trascorrono i successivi due anni senza mai avere notizie l’una dell’altra.
Nessuna delle due ha idea di cosa sia successo all’altra, ma entrambe sanno di essere sopravvissute a quel calvario solo aggrappandosi alla speranza di potersi un giorno, finalmente, riabbracciare…
Lo so, mi ripresento spesso con questo genere di letture, da masochista mi tedio e vi tedio con il dolore provato in quei campi di concentramento.
Questa storia, come quasi la maggior parte di esse, è tratta da una storia vera, due sorelle gemelle riuscite a sopravvivere all’Angelo della morte e che a distanza di anni si ritroveranno fuori da quel campo per ricominciare a conoscersi.
Ho sofferto con loro, con quegli esperimenti inconcepibili e disumani che il dottore Mengele perpetuava ai danni dei gemelli.
Inutile dire che Mengele era seriamente deviato: le oscenità nei suoi laboratori erano all’ordine del giorno come la parete con piccole palline bianche allineate in file e colonne perfette, che altro non erano che iridi etichettare, oppure i punti dati alle labbra per non sentire le urla dei pazienti e così via.
Arina e Nora entrano ad Auschwitz all’età di quindici anni nel 1944, coppia identica di gemelli, fin da subito attirano l’attenzione di Mengele per le sue folli ricerche scientifiche.
Ignare di essere sopravvissute entrambe, dopo la liberazione del campo Arina andrà negli USA e Nora in Francia.
Com’è stato vivere in un campo di concentramento? O forse sarebbe meglio chiedere: com’è stato “non morire” in un campo di concentramento?
Beh spiegarlo non è facile e non basterebbero tutti i sinonimi esistenti per definire la non vita in quell’inferno.
Lo sanno bene Nora e anche Arina, con tutte le conseguenze del caso, traumi, disabilità e quant’altro.
Dovrebbe essere una storia di speranza ma io in verità la vedo di sopravvivenza e forza.
Una forza smisurata per resistere e continuare a vivere… E alla fine ritrovarsi e ricominciare.
La lettura si svolge tra presente 1946-1947 e passato 1943-1944 e seppur si parli di pochi anni, la vita vissuta è stata così intensa che avremo bisogno di qualche stacco per riprendere fiato.
Lascia un commento