Recensione “L’isola degli alberi scomparsi” di Elif Shafak

 

Nata e cresciuta a Londra, Ada Kazantzakis, sedici anni, non sa niente del passato dei suoi genitori. Non sa che suo padre Kostas, greco e cristiano, e sua madre Defne, turca e musulmana, negli anni Settanta erano due adolescenti in quell’isola favolosa di acque turchine e profumo di gardenie chiamata Cipro. Non sa che i due si vedevano di nascosto in una taverna di Nicosia, dalle cui travi annerite pendevano ghirlande d’aglio e peperoncini. Non sa che al centro di quella taverna, testimone dei loro incontri amorosi, svettava un albero di fico. E non sa che l’albero, con le fronde che uscivano da un buco sul tetto, era lì anche quando l’eterno conflitto dell’isola, spaccata in due lungo la «linea verde», si era fatto più sanguinoso e i due ragazzini non erano più venuti. Ora quello stesso albero, nato da una talea trafugata anni prima a Londra, cresce nel giardino dietro la casa di Ada: unico, misterioso legame con una terra dilaniata e sconosciuta, con quelle radici inesplorate che, cercando di districare un tempo lunghissimo fatto di segreti, violente separazioni e ombrosità, lei ha bisogno di trovare e toccare, per poter crescere.

 

L’isola degli alberi scomparsi è un libro a cui approcciarsi con un mix di grazia, tenerezza e cuore forte, perché le parole che vi troverete saranno come poesia ma anche come lame affilate.

 

È un romanzo dalla doppia ambientazione, tripla linea temporale e doppia voce narrante.

 

Una parte ambientata nel passato, nei primi anni ’70 a Cipro, quando turchi e greci non erano più carne e unghia.

 

“Si diceva una volta, non si può separare l’unghia dalla carne. Ma, a quanto pare, non era vero: si poteva eccome. La guerra è una cosa terribile. Ma le guerre civili sono forse le peggiori, quando i vecchi vicini diventano i nuovi nemici”

 

Kostas, greco cristiano, e Defne, turca musulmana, cadono nelle spire di un amore proibito, una sorta di “Romeo e Giulietta” cipriota.

 

“Non si regala il cuore quando ogni cuore deve restare sigillato, e soprattutto non a quelli che non credono nella nostra religione, non parlano la nostra lingua, non sono del nostro sangue. Non ci si innamora a Cipro nell’estate del 1974. Non qui, non ora.  E invece eccoli là, quei due.”

 

Kostas, orfano di padre e diverso dai suoi fratelli infervorati dalla politica, è sensibile e riflessivo, soffre per la natura e per gli animali che la abitano, ha un’anima antica.

 

“In una nazione tormentata da conflitti stragi e incertezza la gente accusava di insensibilità, e di offenderla nel suo dolore, chiunque prestasse attenzione a qualunque cosa non fosse l’umana sofferenza. Quello non era né il momento giusto né il posto giusto per occuparsi di piante e animali, della natura in tutte le sue splendide manifestazioni, ed è così che Kostas pian piano si chiuse in se stesso, si ritagliò un’isola nell’isola, e si ritirò nel silenzio. “

 

Defne è bella, nel fiore della sua giovinezza e ama l’anima antica di Kostas, ma la sua famiglia non avrebbe mai approvato, sarebbe stato Ayip (una vergogna) frequentare un greco.

Così la loro storia d’amore rimane nascosta, fra le fughe notturne dalla finestra, camminando nel buio per arrivare al “Fico allegro” la taverna gestita da Yusuf e Yiorgos, due uomini che comprendono il tormento che provano, perché anche il loro amore è considerato “impuro” poiché diviso oltre che dalla bandiera anche dall’omofobia.

La taverna ospitava i ragazzi che finalmente trovano, in una stanza sul retro, un luogo sicuro e sereno dove vedersi senza la paura di essere scoperti

 

“Kostas e Defne si guardarono e scoppiarono a ridere: di quel riso incredulo, quella leggerezza effervescente che arriva solo dopo la paura e il disagio costanti.”

 

Nella stessa taverna c’è una presenza importante, l’anima del libro: la pianta di fico, Ficus carica, un fico femmina, che è la seconda voce narrante; lei ragiona come una figlia della natura, ci dà la sua personale visione dal punto di vista di …un albero, ma altresì scopre di avere dei sentimenti e proprio come una fanciulla alle prime cotte si innamora di Kostas.

 

 “Che dolore non poter trasformare i rami in braccia per stringerlo a me i ramoscelli in dita per accarezzarlo, le foglie in migliaia di lingue per ricambiare in un sussurro le sue parole. E il tronco in un cuore per accoglierlo”

 

Rimane testimone silenziosa della vita della famiglia, l’ha seguita da Cipro nascosta in una valigia, è cresciuta con loro, ha scandito ogni attimo bello e brutto che potesse accadere.
La pianta di fico ci parla, ci illustra la magia del mondo vegetale, percezioni, reazioni, astuzie, e sicuramente dopo aver letto “L’isola degli alberi scomparsi” non guarderò più una pianta nello stesso modo di prima.

La sua narrazione è nostalgica, poetica, carica di pathos, ignoravo che il fico fosse una pianta ritenuta sacra nell’antichità, e ci parla con una memoria storica brillante e suadente.

Un albero ha molti visitatori e i suoi, che siano insetti, uccelli o altri elementi della natura, le raccontano storie e ci rivelano segreti; e anche lei ce ne nasconderà uno fino alla fine.

 

“Le piante sono solidali tra loro anche quando appartengono a specie diverse, indipendentemente dalle difformità, il che non si può dire per molti sapiens.”

 

In tempi più recenti, fine degli anni 2010 a Londra, ritroviamo Kostas, divenuto botanico ecologo evolutivo, crescere da solo la figlia Ada

 

“nella lingua di sua madre Ada significava isola”

 

Defne è morta e loro due si ritrovano a convivere nel dolore della perdita, senza riuscire a comunicare davvero.

Kostas si prende cura del fico con una tenerezza disarmante, con Ada che improvvisamente a scuola inizia a urlare per secondi interminabili, senza che nemmeno lei ne sappia il motivo, destando preoccupazione in compagni, insegnanti e ovviamente nel padre.

 

Per la prima volta in vita sua Ada incontra Meryem, la sorella della madre, che alla morte dei propri genitori ha potuto finalmente allontanarsi, per andare a trovare quello che rimane della sua famiglia.

 

Kostas e Defne, infatti, erano stati ripudiati per la loro relazione e la bambina è cresciuta senza sapere nulla delle sue origini. Desiderio espresso da Defne che, dopo aver vissuto gli orrori della guerra si era fatta promettere da Kostas:

 

“Se vogliamo dare a nostra figlia un futuro felice, dobbiamo lasciarla fuori dal nostro passato”

 

Ada è un’adolescente che ha appena perso sua madre e trova un muro quando chiede delle loro origini.

Tutto crea una cappa di tristezza e sofferenza alla quale cerca di dare una spiegazione: sarà forse come gli alberi che riescono a tramandare alla progenie i traumi del passato per insegnargli a combatterli?

 

“Già molte volte in passato le era venuto il sospetto di avere dentro una tristezza che non era proprio sua […]si può ereditare anche un elemento impossibile da afferrare e misurare, come la tristezza?”

e

 

“Aveva smesso di raccontare cose a suo padre perché aveva intuito, a un qualche livello primordiale, che doveva proteggerlo dalla sofferenza.”

 

L’arrivo di Meryem è paragonabile all’uragano che si sta scatenando in quei giorni su Londra, la donna è un tornado di parole, proverbi e superstizioni.

E nonostante il temperamento brioso, le sofferenze patite hanno lasciato il segno anche in lei

 

“Ada scorse per la prima volta la fragilità dell’universo che (Meryem) si era costruita intorno a suon di ricette, proverbi, preghiere e superstizioni. E per la prima volta pensò che forse non era l’unica a sapere molto poco del passato.

 

 

Kostas e Defne sono stati molti anni lontani dopo quel 1974, lui emigrato a forza a Londra da uno zio e lei rimasta a vivere la guerra sulla propria pelle.

 

Scorgiamo quindi un terzo piano temporale, intermedio, dove i due si ritrovano, cambiati e feriti, ma il loro amore è sopravvissuto, esattamente come la talea della pianta di fico che Kostas prende dal “Fico felice”

 

E’ stata una lettura molto intensa, che mi ha portato a entrare in contatto con una guerra, della quale ignoravo l’esistenza, pregna di sofferenza.

Due popoli che si sono trovati nemici da un momento all’altro, le morti, le sparizioni, il terrore, i cocci che si sono trovati a dover rimettere insieme una volta raggiunta la pace, il lavoro straziante delle organizzazioni che si sono occupate di scovare le fosse comuni, le operazioni per il riconoscimento, per poter riconsegnare alle famiglie i poveri resti dei loro cari.

Famiglie turche, greche, ma entrambe cipriote!

 

“Ti dici che due persone non parlano la stessa lingua, ma poi ti rendi conto che il dolore è una lingua. Ci si capisce, tra persone con un passato di sofferenza.”

 

Ovidio disse: “Un giorno questo dolore ti sarà utile “

 

Io non so se questo dolore abbia potuto essere di qualche utilità ai reali protagonisti di quella guerra (di ogni guerra) o ai personaggi di questo romanzo, ma sicuramente l’ha reso emozionante, duro e istruttivo al tempo stesso.

Lettura consigliata

 

 

Anna

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