Recensione “L’usignolo” di Kristin Hannah

 

Francia, 1940. Nel tranquillo paesino di Carriveau, Vianne Mauriac si ritrova circondata da soldati tedeschi, carri armati, aerei che scaricano bombe su innocenti. Con il marito al fronte, è obbligata a ospitare il nemico in casa sua: da quel momento ogni suo movimento è tenuto d’occhio, lei e sua figlia sono in costante pericolo. Senza più cibo né denaro, in una situazione di crescente paura, si troverà costretta a prendere, una dopo l’altra, decisioni difficilissime. Isabelle, la sorella di Vianne, è una diciottenne ribelle in cerca di un obiettivo su cui lanciarsi con tutta l’incoscienza della giovinezza. Mentre lascia Parigi insieme a migliaia di persone, incontra il misterioso Gaëtan, un partigiano convinto che i francesi possano e debbano combattere i nazisti. Rapita dalle idee e dal fascino del ragazzo, Isabelle si unirà alla Resistenza. Due sorelle distanti per età, esperienze e ideali, ognuna alle prese con la propria battaglia per la sopravvivenza ma entrambe alla ricerca fiduciosa dell’amore e della libertà. Con coraggio e grazia, sorretti da una documentazione accuratissima, Kristin Hannah si addentra nell’universo epico della Seconda guerra mondiale per illuminare una parte della Storia raramente affrontata: la guerra delle donne.

 

Un altro toccante punto di vista sugli orrori della Seconda guerra mondiale: occhi femminili che, dalla mia amata Francia, vogliono dirci la loro…

Vianne e Isabelle, rimaste orfane di madre, vengono mandate a vivere lontane dal padre che non ha più intenzione di occuparsi di due bambine.
Vianne si innamora e crea una famiglia con Antoine, finché la guerra li separa.

 

“Una generazione di uomini stava partendo per la guerra. Di nuovo.”

La sorella Isabelle, una ragazza ribelle e determinata, si fa espellere da un istituto dopo l’altro finché, diciannovenne, viene riaccolta dal padre con riluttanza, ma non per molto…
Vianne è la madre di famiglia che aspetta a casa il suo uomo, cercando di sopravvivere e subendo la forzata convivenza con comandanti tedeschi.
Isabelle vuole fare la differenza e fornire attivamente il suo aiuto, bellissima e intrepida, rifiuta categoricamente l’invasione nazista nella sua terra e, come la sua eroina Edith Cavell, troverà il modo per disobbedire.
È una storia fatta da donne: due sorelle che affrontano le avversità diversamente, due amiche legate sin dalla tenera età che vengono divise dal credo, sovversive che vogliono dimostrare di non essere da meno degli uomini.

L’iniziale remissività di Vianne, la condizione di ebrea dell’amica Rachel che vede precludersi ogni giorno un pezzo della sua vita, la determinazione di Isabelle che diventa un personaggio chiave nella Resistenza; segreti e bugie che potrebbero spezzare gli equilibri.

 

La guerra crea strane alleanze, quello che mai ci si sarebbe aspettato accade.

 

“Com’era possibile che i gendarmi francesi stessero facendo una cosa simile ai parigini? A donne e bambini?”

 

Nel loro piccolo, sia Isabelle che Vianne salveranno delle vite e, nonostante il pericolo, capiranno qual è la cosa giusta da fare.

 

Storia di fame, di code infinite con una tessera annonaria in mano, di strati di logori vesti che nulla fanno contro il freddo; teste abbassate, incontri clandestini, contrabbando di documenti, i Maquis che si organizzano e si ingrandiscono sempre più.

C’è anche un amore che tenta di nascere come un fiore fra le macerie, un sentimento difficile da accettare, esternare, perché in guerra non c’è tempo per nulla, nemmeno per quello.

Uno sprazzo di normalità assaggiato e rimandato al futuro, sempre se ci sarà, lo strazio di un bacio che potrebbe essere l’ultimo, un abbraccio che potrebbero passare mesi per sentirne di nuovo il calore.

 

“Quel sogno condiviso di una vita che non riuscivano a ricordare e che difficilmente sarebbero riusciti a rivivere”

La storia la conosciamo tutti, dei suoi macabri risvolti abbiamo scandagliato ogni sfumatura, eppure ogni volta ci colpiscono come un pugno allo stomaco.

 

“Il dolore, così come il rimpianto, si deposita nel nostro DNA e rimane per sempre una parte di noi.”

Ci si abitua lentamente alle brutture che i telegiornali ci vomitano addosso ogni giorno, come un vaccino mefitico, ma a “quel” dolore io non mi abituerò mai.
È stato di una portata troppo grande per accettarlo e superarlo, ha valicato ogni barbarie tollerabile in tempo di guerra.

Scritto su doppio binario temporale, ma prevalentemente concentrato nel passato che si suddivide a sua volta nel doppio pov di Vianne e Isabelle, è una dura testimonianza delle condizioni che hanno dovuto subire chi è rimasto a combattere la guerra da casa.

 

“Sono gli uomini a raccontare le storie […] le donne invece vanno avanti. Per noi è stata una guerra nell’ombra. Non ci sono state parate per noi quando è finita, nessuna medaglia o menzione nei libri di storia. Durante la guerra abbiamo fatto ciò che dovevamo, e quando è cessata, abbiamo raccolto i cocci e ricominciato le nostre vite da capo.”

 

Intenso e drammaticamente bellissimo.

 

 

 

Anna

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