Nell’incalzante tumulto del XI secolo, in una Campania segnata da intrighi e alleanze incerte, Leonora si ritrova prigioniera di un destino scritto da altri: un matrimonio combinato sulla scacchiera degli scontri tra Normanni, il Ducato di Napoli e i Longobardi del Principato di Capua.
Ma la sua storia non è solo quella di una pedina sacrificabile. È il racconto di una donna coraggiosa, costretta a adattarsi a un mondo estraneo ed ostile.
Quando sembra che la sua vita abbia finalmente trovato un equilibrio, un oscuro complotto e una tragedia improvvisa la catapultano in un vortice di mistero e tradimento obbligandola ad allontanarsi da quel nuovo marito che sta imparando ad amare.
Alessandra Cicerano: un’autrice esordiente che nulla ha da invidiare a quelli più rodati.
La sua preparazione accademica le concede il sapere e il diritto di posizionarsi direttamente fra gli autori professionisti.
Confesso di invidiare gli studenti che hanno il privilegio di avere Alessandra come Professoressa: se avessi avuto anche io un’ insegnante come lei, avrei sviluppato un’ interesse maggiore verso le materie letterarie e storiche.
Ma veniamo al romanzo: il lavoro di ricerca storica è stato minuzioso ed accurato e laddove le risorse storiche presentavano delle lacune, la fantasia è riuscita a porvi egregiamente rimedio; sin dalle prime righe abbiamo la sensazione di essere risucchiati nel vortice del tempo per venire riportati nel medioevo.
Le ambientazioni di questo scritto sono le terre di Napoli e Aversa nel secolo XI, i Longobardi sono una minaccia concreta e le dinastie nobiliari lottano per il potere.
Leonora di Ponteripa era la promessa sposa di Atanasio, fratello minore del Duca Sergio, avrebbe avuto “una vita meravigliosa in seno alla famiglia più potente del Ducato”, ma purtroppo un incidente l’ha resa vedova prima ancora di potersi arrogare il diritto di sentirsi una moglie.
“Quello stupido sciocco si era fatto ammazzare e per colpa sua tutta la mia vita stava andando a rotoli”
Le donne di quel periodo storico non avevano diritti ma solo doveri, nonostante questo, il padre di Leonora l’aveva cresciuta con molta più considerazione rispetto al consueto, ma alla fine dei giochi
“La mia vita era stata scritta da altri”.
Il destino di Leonora la ricolloca quindi sulla scacchiera delle alleanze utilizzandola come pedina e la sua mano, insieme alle terre di Ponteripa, vengono concesse ad Eric Anquetil de Barfleur, un cavaliere normanno dell’entourage di Rainulfo Drengot, un mercenario che aveva aiutato il Duca Sergio a riprendere il controllo della città di Napoli.
Un matrimonio al di sotto della sua condizione, ma non era nella posizione di potersi opporre.
Quello che Leonora non poteva sapere è che Eric non aveva acconsentito al matrimonio solo per interessi economici e politici, ma per vivo interesse nei confronti della ragazza.
Leonora, la sua Alienor, la pelle ambrata che contrasta con quella eburnea del cavaliere, un piccolo cerbiatto al cospetto del cervo maestoso. Le delicate orecchie della giovane abituate alla musicalità del volgare parlato nelle sue terre, non comprendono le parole in quella lingua lontana sussurrate dalle labbra del suo sposo. ma la gentilezza e la dedizione di questo gigante biondo dagli occhi di cristallo la conquisteranno subito.
Con lui scoprirà che i doveri coniugali saranno un piacere e, immersa in una corte straniera con il conforto dell’amicizia dell’unica conterranea, la nobildonna Sichelgaita, Leonora troverà in quel marito imposto la sua ragione di vita.
“Mi era stato insegnato che non è un bene, per una donna, desiderare qualcosa.[…] Adesso invece desidero. E questo desiderio è come una spina dolorosa piantata in gola”
Il destino per i due giovani innamorati non sarà però propizio e dovranno affrontare gravose vicissitudini che li porteranno lontani l’uno dall’altra.
Gli usi e costumi, i cibi e gli intrattenimenti, le celebrazioni di feste ormai smarrite mi hanno resa, in questa ricostruzione storica, spettatrice di un’epoca affascinante.
I dettagli sono stati quelli che mi hanno catturata definitivamente: gli odori soffocanti e i sapori dolci delle frittelle al miele, le macchie di fumo lasciate dai bracieri sui muri, il profumo della cera d’api e delle erbe officinali sono la dimostrazione del rispetto che l’autrice ha avuto verso il lettore e il suo modo per calarci nel contesto:
“Nell’aria, illuminata dal chiarore delle candele, l’odore della cera d’api si mescolava al fumo e al sentore di pietra bagnata. Le voci riecheggiavano sotto le volte in pietra”
Troppe volte ho letto romanzi storici arrangiati in modo approssimativo, una scorsa a Wikipedia e via; ogni volta un moto di rabbia mi ha fatto giudicare negativamente la scelta di collocare una storia in un contesto che non si ha avuto la voglia, o la competenza, di approfondire.
In questo caso invece avrete la piena soddisfazione di imparare qualcosa di nuovo dalla penna di chi ha fatto bene i “compiti a casa”
La trama scorre fluida, i dialoghi sono ben costruiti e impreziositi dal francese antico, lingua che amo, utili note a margine completano le descrizioni.
I protagonisti sono ben caratterizzati, il doppio pov ci aiuta ad entrare in sintonia con il loro pensiero e anche i personaggi minori hanno impreziosito la trama: Padre Alberto e il suo sostegno incondizionato per Leonora, il vichingo Haldan e la sua dedizione assoluta per Eric e tanti altri.
Sulle ultime pagine di questo romanzo mi sono resa conto di averlo letto in una decina di giorni, fin troppi per i miei canoni, ma la brama di proseguire la lettura contrastava col desiderio di allontanare il più possibile l’epilogo: me lo sono gustato e centellinato come un ottimo vino.
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