Recensione “The City of Stardust” di Georgia Summers

 

LE MALEDIZIONI SONO FATTE PER ESSERE SPEZZATE

Una maledizione può essere molte cose. Per gli Everly tutto è iniziato con la polvere di stelle.

C’è un prezzo da pagare per sopravvivere, Violet Everly. È solo questione di decidere quale. Per secoli, gli Everly hanno visto i migliori e più brillanti membri della loro famiglia scomparire, presi come il prezzo da pagare per un crimine che nessuno ricorda, per uno scopo che nessuno comprende. La loro aguzzina è una donna di nome Penelope, che non invecchia, non si ammala e non dimentica mai un torto. Sono passati dieci anni da quando la madre di Violet Everly è partita con l’intento di spezzare la maledizione, e non è più tornata. Adesso Violet deve trovarla o verrà presa al suo posto. La sua ricerca la conduce in un mondo cupo e seducente, fatto di studiosi affamati di potere, divinità crudeli e mostri assetati di vendetta. Ma anche a incontrare Aleksander, il silenzioso assistente di Penelope, di cui Violet sa di non potersi fidare ma da cui è irresistibilmente attratta.

In lotta contro il tempo per la sua vita, Violet dovrà scoprire i segreti di sua madre, trovare la chiave e varcare le porte di una città fatta di polvere di stelle, dove la storia e la sfortuna degli Everly hanno avuto inizio…

Il magico e il macabro si intrecciano nello strabiliante debutto di Georgia Summers, una storia di sacrifici e segreti, un romanzo fantasy dark academia che è subito diventato un fenomeno editoriale conquistando il primo posto nelle classifiche inglesi a una sola settimana dall’uscita.

 

 

Avevo alte aspettative per questo libro, forse troppo alte…

 

Ci sono molti punti a favore, ma altrettanti contro: partiamo dalla narrazione scorrevole, con una scrittura adatta a tutti; continuiamo con una storia ben costruita ma non approfondita, questo è il classico romanzo che sarebbe potuto diventare una tri o dilogia perché, se maggiormente approfondito, avrebbe narrato di avventure incredibili che vengono invece elencate e basta. I personaggi sono perfettamente caratterizzati e delineati ma ci troviamo di fronte a una protagonista che cresce rinchiusa in casa, istruita dallo zio ma che, una volta cresciuta e non aver visto niente del mondo, fugge e riesce a stanare gli zii che la cercano, a nascondersi girando il mondo come una professionista… e a scoprire cose in pochissimo tempo, mentre altri, prima di lei, non sono riusciti in tanti anni.

Bella la costruzione della villain, Penelope, e la concentrazione sulla storia da cui nasce la maledizione, dove la verità può essere una tra le tante versioni o nessuna. La sensazione è quella di avere una foto sfocata, in cui si capiscono i contorni, ma non si può essere certi di chi siano le figure presenti… Sono stata affascinata da questa scelta.

 

Nonostante Penelope abbia fatto di tutto per renderlo un burattino inanimato, Aleksander, un altro personaggio molto ben costruito, ha ancora un’anima. Il lavoro è stato certosino da parte della dea, quindi ci si chiede spesso se il ragazzo riuscirà mai davvero a sottrarsi alla morsa della sua maestra. Penelope le ha fatto da madre, una terribile e tossica, ma pur sempre quella figura di riferimento che lo ha cresciuto, per cui è diviso tra l’amore e il rispetto per lei e la sua volontà oltre lei.

 

Per quanto ne accadano di ogni, è stata una lettura tanto lenta, priva di adrenalina, ma con un’infinità di personaggi, interazioni, scambi e pensieri che avrebbero potuto creare un libro meraviglioso ma che, in effetti, non lo è stato. Si sente molto la presenza del narratore e non sono riuscita a entrare in sintonia con i personaggi.

I punti forti sono l’originalità; i personaggi ben descritti e delineati; una storia intricata con mille e nessuna verità, sotterfugi e bugie; la dualità in Aleksander tra cuore e mente; un cattivo estremamente cattivo.

I punti a sfavore sono il personaggio di Violet, un po’ troppo irreale e non ben costruita; quello di Marianne, un personaggio che avrebbe potuto dare molto alla storia anche se non presente; le figure maschili, tutte considerate dei gran codardi.

 

Per me è un grande nì. A metà tra il “non mi è piaciuto per niente” e “alla fine non è così male”.

 

samanta

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